Le frontiere del packaging. Biscotti, latte e pesto: la molecola del futuro nelle nostre dispense

Scordatevi i contenitori cartone e colla, guerra ai conservanti. Non è pellicola o plastica, ma è PLA: acido polilattico totalmente biodegradabile, trattato per aderire in modo più salubre agli involucri e combattere lo spreco. Dove va l'industria degli imballaggi

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È UN FILM, anzi, una pellicola, tuttavia non ha niente a che fare con la celluloide, i fotogrammi e le bobine dei vecchi proiettori. Piuttosto con la nuova frontiera della conservazione degli alimenti, dal momento che li preserva dall'ossidazione e dal proliferare dei microrganismi capaci di alterarli. Per giunta è biodegradabile ed esente da additivi chimici potenzialmente dannosi per la salubrità dei cibi.

Il nuovo materiale da imballaggio messo a punto da un gruppo interdisciplinare di scienziati dell'università di Bologna, si presenta come un vecchio cellophane, ma ne è un'evoluzione distante ormai anni luce. Non ha un nome preciso, ma il composto di partenza si chiama "PLA", acronimo di acido polilattico, sostanza da cui si ricava il film-base biodegradabile. Su di esso vengono poi fatti aderire strati con le funzioni di cui si diceva: antiossidante e antimicrobica. Per arrivare a questo prodotto e portarlo fino a un livello preindustriale, è stato necessario coinvolgere più di una dozzina di ricercatori di varie discipline, dai tecnologi alimentari ai microbiologi, agli ingegneri esperti di materiali e macchine alimentari, tutti provenienti dall'università di Bologna che, si sono avvalsi della collaborazione di tre aziende come Gima e Ilapak, leader nel settore delle macchine per imballaggio, e di Barilla per quel che riguarda i processi dell'industria alimentare.

È così nato il progetto EcoPackLab per un investimento di 1,35 milioni complessivi di cui 787 mila euro co-finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020 della Regione Emilia-Romagna, attraverso l'asse finalizzato a finanziare progetti di ricerca industriale innovativi. A coordinare l'iniziativa è il CIRI AGRO, Centro interdipartimentale di ricerca industriale agroalimentare dell'ateneo bolognese in collaborazione con il CIRI MAM, vale a dire il gemello Centro ricerca, in questo caso votato all'industria meccanica avanzata e ai materiali. Il lavoro svolto dagli accademici si inserisce in uno dei settori produttivi che più caratterizzano l'Emilia-Romagna, vale a dire l'alimentare e le macchine per l'imballaggio. In entrambi i casi, la regione primeggia nel nostro Paese sia per numero di aziende che per tipologia di prodotti.

 

Ricerca

Come si diceva, il materiale di partenza è l'acido polilattico, composto naturale e totalmente biodegradabile. Per aumentare la capacità di protezione di questo film e garantire una maggiore conservazione di alcuni alimenti, era dunque necessario "arricchirlo" in modo tale che diventasse un imballaggio in grado di svolgere questo compito migliorando le caratteristiche dei più tradizionali involucri protettivi. "Tra i principali obiettivi di EcoPackLab - spiega a Europa, Italia la professoressa Santina Romani del Ciri Agro e coordinatrice del progetto - abbiamo voluto creare un nuovo materiale che preservasse alcuni alimenti dall'ossidazione e dalla proliferazione dei microrganismi. Noi abbiamo così studiato l'applicazione sul film di acido polilattico di due diversi strati che servissero a soddisfare questi requisiti". Per ciò che concerne la funzione antiossidante è stato scelto, come composto attivo, l'acido ascorbico, mentre per l'azione antimicrobica è stato selezionato un enzima che si chiama Lisozima.

Va ricordato che per evitare l'ossidazione è necessario che il cibo non venga a contatto con l'ossigeno dell'aria, mentre per i microrganismi occorre mettere a punto un sistema che produca un habitat a loro ostile. Il problema per gli scienziati era quello di fare aderire questi strati "attivi" alla pellicola di base senza ricorrere a colle sintetiche.

A questo punto, grazie alla collaborazione con gli ingegneri del CIRI MAM è stata progettata e realizzata una macchina in grado di produrre questo nuovo materiale aggiungendo le due sostanze con le qualità citate. Dopo vari studi è stato deciso di utilizzare un sistema a "plasma freddo" per far aderire all'acido polilattico il gel con Lisozima e quello con acido ascorbico. È stato quindi scelto un sistema di ionizzazione, che in parole semplici genera delle cariche sulla superficie del materiale di PLA che così aderisce facilmente al gel con la sostanza antiossidante oppure antimicrobica.

 

Sviluppo

Il prototipo di macchina realizzato dagli ingegneri del CIRI MAM è composto da diverse parti e da un insieme di tecnologie innovative integrate, il cui risultato è la produzione di un film attivato pronto per l'uso, avvolto in una bobina come una specie di grosso nastro. "Possiamo realizzare materiali flessibili, idonei al contatto alimentare, a un solo strato o a doppio strato in cui può essere diversamente applicata la sostanza attiva, in relazione ai requisiti e alla specifica azione protettiva richiesti" afferma Romani. I materiali così ricavati hanno subito numerose verifiche di prova. Sono state con essi realizzate confezioni flessibili per diversi alimenti, dall'olio a condimenti come il pesto genovese fresco, a una bevanda a base di frutta e latte di riso. In tutti i casi la proliferazione dei microrganismi ha subito un notevole rallentamento durante la conservazione dei prodotti. Lo stesso risultato si è avuto riguardo l'ossidazione.

"Tutto ciò va a vantaggio della qualità e sicurezza degli alimenti visto che sono meglio protetti, oltre che della loro stabilità. Grazie a questo nuovo imballaggio, la scadenza degli alimenti potrà essere protratta più a lungo a vantaggio di produttore e consumatore, prevenendo anche lo spreco di cibo" argomenta ancora Romani che sottolinea la biodegradabilità e sostenibilità del prodotto, ottenuto in assenza di colle e composti sintetici. Il progetto cofinaziato attraverso il contributo dei fondi della politica strutturale europea - utilizzati nelle diverse fasi di ricerca, formazione e sviluppo dell'idea - una volta portato a termine, ha già riscosso interesse da parte di molte aziende alimentari, alle quali sono stati forniti campioni realizzati per valutare l'eventuale utilizzo per una o più linee di prodotti.

"I fondi - spiega ancora Romano - ci hanno permesso di andare a fondo nelle nostre ricerche mirate alla sostenibilità. Avevamo infatti l'esigenza di capire in primo luogo se l'acido polilattico potesse coesistere con l'antimicorbico. E il sostegno economico alle nostre intuizioni è servito per attivare un'équipe interdisciplinare nella quale sono stati assunti a tempo determinato dei ricercatori che si sono formati acquisendo nuove professionalità, quanto mai appetibili nel campo dell'innovazione e della ricerca. Inoltre, il macchinario messo a punto è oggi uno strumento prezioso per tutto il lavoro di laboratorio, perché può essere adattatato per testare e sviluppare tutta una serie di nuovi materiali".

 

Produzione

Oltre a quello chimico-biologico, il problema principale per l'équipe di EcoPackLab, era quello di industrializzare una bella idea. In parole più povere, costruire una macchina che fosse in grado di produrre ciò che era stato progettato sulla carta con un processo efficiente, di qualità e di quantità. Una macchina né troppo piccola come quella dei laboratori, né troppo grande sulla scala degli impianti industriali che fornisse risultati attendibili. Un procedimento simile a quello che avviene nelle gallerie del vento per progettare carrozzerie il più aerodinamiche possibile. Il modello che si usa è più piccolo della vettura che andrà in produzione, ma non piccolissimo (la scala è in genere 1:2) altrimenti non si riuscirebbero a studiare così accuratamente i profili e i particolari. A questo punto sono entrati in gioco gli ingegneri del CIRI MAM capeggiati da Maurizio Fiorini. Nei laboratori di via Terracini a Bologna, si è cominciato a studiare un impianto che rispondesse a queste caratteristiche.

"Ci voleva una macchina che fosse di dimensioni compatibili coi nostri laboratori" racconta Luca Tomesani, uno dei più stretti collaboratori di Fiorini. Così gli ingegneri si sono rivolti a Gima e Ilapak per una consulenza sul tipo di apparecchiatura e la sua struttura. È nato in questo modo un impianto che ci ha consentito di effettuare delle prove di produzione paragonabili a quelle dell'industria del settore. "La macchina di cui ora disponiamo sarà lo strumento indispensabile anche per altre sperimentazioni e forse è questo il lascito più rilevante per noi" continua Tomesani. "Può funzionare con due bobine e lavora polimeri di vario genere con grado di biodegradabilità dal 20% in su".

A vederla genera nel profano un'impressione di arcana complessità. Dentro, assicurano i tecnici, nasconde tanta tecnologia a partire dalla capacità di ionizzare la superficie dei polimeri consentendo agli strati di additivi di incollarsi perfettamente. Attualmente la macchina lavora e produce bobine del nuovo prodotto che vengono spedite alle aziende interessate. "Mettendo assieme più competenze - interviene Tomesani - siamo riusciti a costruire un processo produttivo. Ora ci resta questo laboratorio che potrà continuare a valutare tanti altri prodotti".

Test

Se l'università ha il compito di mettere a punto materiali che rispondano a caratteristiche di salubrità e ecosostenibilità, l'industria ha quello di sperimentare e rendere utilizzabili i materiali stessi. La pellicola su base di acido polilattico, è stata valutata negli stabilimenti Ima di Ozzano. Una delle caratteristiche dell'azienda bolognese, leader europea nel settore, è quella di possedere un laboratorio interno alla fabbrica in cui vengono messi alla prova i vari film prodotti, compreso quello messo a punto dall'ateneo cittadino. Tra Bologna, Arezzo, Lugano e un altro di prossima apertura in Arkansas, i laboratori di Ima in seno agli stabilimenti, a partire dal 2016, hanno messo assieme un data base di informazioni enorme. Sono stati esaminati circa tremila film diversi da produttori di tutto il mondo. "Ormai anche marchi multinazionali ci chiedono la consulenza sui materiali da imballaggio" spiega Klaus Peters direttore di Ima food. La pellicola messa a punto dall'università bolognese è stata promossa dagli esperti dell'azienda di Ozzano. "Prodotti come questo vanno nella direzione del futuro - riprende Peters - in quanto sempre più occorre far fronte a imballaggi biodegradabili, ecosostenibili e capaci di salvaguardare i cibi".

Nasce così una catena produttiva che deve marciare in sincronia. Il produttore di materiale da imballaggio non può prescindere dalla ricerca e dal rapporto con i laboratori universitari, mentre lo stesso produttore non può fare a meno di una stretta collaborazione con chi fabbrica le macchine che poi confezioneranno i prodotti. "Ogni film ha bisogno di una macchina apposita perché la sua composizione può richiedere una lavorazione specifica" precisa Peters. "Ma non c'è dubbio che la ricerca di tutti debba puntare alla ecosostenibilità".

Un esempio tra i tanti è la pizza surgelata. "Finora veniva avvolta in una pellicola e poi immessa in un cartone. Oggi stiamo studiando una carta particolare che protegge la stessa pizza e fa a meno della pellicola", spiega ancora Peters. Oggi alla Ima e al suo bagaglio di dati si rivolgono multinazionali come Unilever, Nestlé, Oreal ed Henkel. Tutte alla ricerca di imballaggi "no plastic", ecocompatibili e biodegradabili. La chimica, come nel caso della pellicola realizzata nei laboratori dell'Alma Mater, deve trovare il materiale che risponda a questi requisiti, ma è l'industria che deve poter impiegare al meglio il materiale stesso per fornire a chi deve confezionare i prodotti, un imballaggio rispettoso dell'ambiente e delle qualità di ciò che contiene.

Il progetto è realizzato con il contributo della Commissione Europea. Dei contenuti editoriali sono ideatori e responsabili gli autori degli articoli. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsivoglia uso fatto delle informazioni e opinioni riportate.